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Eravamo giovani e incoscienti

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A 23 anni è già vincitore di due Tour de France. A 24 anni un grave infortunio per poco non mette fine alla sua carriera. A 25 anni fonda una propria squadra professionistica, e ne disegna anche la maglia. A 28 anni subisce una delle sconfitte più dolorose nella storia dello sport: un Tour perso all’ultima tappa, e per soli 8 secondi. Laurent Fignon ha bruciato le tappe della sua carriera. Ma è anche stato bruciato dalla vita: è morto a soli 50 anni, nel 2010. L’anno prima aveva saputo di essere gravemente malato di cancro proprio nei giorni in cui stava per mandare in stampa la sua autobiografia. In quelle pagine aveva scritto di sé, del suo mestiere di ciclista e di cosa significava essere una celebrità sportiva, con la veemenza, l’audacia e la sfrontatezza di chi non ha mai avuto paura di chiamare le cose con il proprio nome: l’estasi del successo e l’acre sapore della sconfitta, la sfida impertinente lanciata ai mostri sacri e l’incoscienza e i compromessi della lunga stagione del doping. Fin da subito riconosciuto come una pietra miliare della letteratura sportiva, Eravamo giovani e incoscienti è l’ultima lezione del “professor” Fignon, dalla quale il ciclismo contemporaneo ha forse ancora molte cose imparare.

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