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Densho. Studio dei venti principi del maestro Funakoshi

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Uno degli obbiettivi più difficili da raggiungere da parte del praticante di Karate-do consiste nello “staccarsi” dal confronto con gli altri compagni di pratica e di studio e vivere in maniera introspettiva e strettamente personale il proprio avanzamento tecnico, sforzandosi di portarlo costantemente a un valore quantitativo e qualitativo sempre crescente. Così facendo la forma tecnica assume il valore di tramite attraverso la quale viene coltivato un senso di auto-perfezionamento che arriva a permeare ogni azione della propria quotidianità. A un livello superiore è necessario considerare l’apporto morale, etico e comportamentale che una disciplina come il Karate-do può fornire per poter affinare la personalità del praticante affinché essa sia permeata di valori fondanti come il rispetto, l’educazione, l’umiltà e la consapevolezza di dover perfezionare, giorno dopo giorno, il proprio carattere per contribuire (nella sua più alta aspirazione), al miglioramento della società che lo circonda. Il Maestro Gichin Funakoshi nel 1922 presentò al mondo per la prima volta al di fuori dell’isola di Okinawa la forma d’arte marziale ivi nata, e da quel momento il Karate-do entrò gradualmente a far parte della cultura nipponica. Nel 1938 pubblicò un testo intitolato I venti precetti (in giapponese Shoto Niju Kun) in cui espose la teoria attraverso la quale il praticante di Karate-do avrebbe potuto apprendere ed elevare il proprio stato non solo tecnico e fisico, ma morale e comportamentale, evidenziando così l’importanza di una ricerca strettamente correlata tra pratica ed educazione, tra forma tecnica e armonia di spirito. I venti precetti di Funakoshi indicano un sentiero e al tempo stesso elevano la pratica del Karate-do a mezzo grazie alla quale l’individuo può “manifestarsi” coltivando il “Do”, la “Via”: in sostanza, il più alto ideale per chi pratica le discipline orientali.

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