Non puoi fidarti di gente così. Storia della squadra di rugby che sfidò l'apartheid
«Non ci restano che gli italiani.» «Stai scherzando, vero?» Nel 1973, il Sudafrica dell’apartheid cerca di rompere il boicottaggio e l’isolamento grazie al rugby, sport di cui è maestro, ma le nazionali di tutto il mondo rifiutano l’invito ad affrontare gli atleti di un Paese razzista. Solo l’Italia accetta, anche se molti dei giocatori convocati rinunciano. Nasce una squadra improbabile, giovane e inesperta, che ha un duplice desiderio: conoscere i campioni di questo gioco e usare lo sport come strumento di fratellanza universale. Infatti l’Italia pone un’unica condizione: incontrare anche i Leopards, la selezione “negra” sudafricana. Quel mese di rugby si rivela un’eccezionale avventura sportiva, umana e politica, che Massimo Calandri, valente giornalista di “Repubblica”, ha ricostruito con un preciso lavoro di archivio e con una serie di interviste ai co-protagonisti ancora in vita. La spedizione sudafricana fa scoprire ai giocatori e al grande pubblico la bellezza mozzafiato e le disumane ingiustizie di una terra straordinaria. La squadra italiana incrocia Ian Smith, suprematista bianco e dittatore dell’allora Rhodesia, poi i leader della lotta all’apartheid, Nelson Mandela e Steve Biko, trasformando ogni partita in una lotta per i diritti umani. Nove battaglie in meno di un mese contro giganti famosi per la loro violenza in campo. Un solo, storico successo: proprio coi Leopards, e l’incontro che al fischio finale diventa una grande festa nella township di Port Elisabeth. E l’improvvisa consapevolezza che lo sport può contribuire a cambiare i destini del mondo.
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