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Estensione del dominio della manipolazione. Dalla azienda alla vita privata

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La società in cui viviamo è dominata dai modelli del successo e della realizzazione personale. Il valore di ciascuno viene misurato in termini di “competenze” e “risultati”, in una sovrapposizione di vita professionale e privata, e sempre più spesso si assiste all’estensione dei concetti peculiari del management aziendale alla dimensione più intima dell’esistenza. Sul lavoro vengono richiesti, al tempo stesso, autonomia e conformismo, spirito d’iniziativa e adesione totale alla mission. Ma quale autonomia può avere chi è libero nel modo di realizzare un obiettivo ma non ha alcuna voce in capitolo nella sua definizione? Inoltre, nel momento in cui gli obiettivi prefissati non sono raggiunti, vengono messe in discussione competenze e autonomia. Proprio dall’incoerenza di questi messaggi nasce il disagio della contemporaneità. L’autrice, filosofa e ricercatrice presso il CNRS a Parigi, attacca l’idea diffusa secondo cui l’individuo acquisisce dignità e valore soltanto attraverso il lavoro. Si tratta, in realtà, di un tranello concettuale che consente ai manager di chiedere ai loro impiegati una cosa e il suo contrario: ambiziosi risultati lavorativi e realizzazione personale, impegno e flessibilità, autonomia e conformità alla cultura aziendale. Questa sottile manipolazione spinge le persone a considerare se stesse come gli “imprenditori” di una piccola “azienda” che coincide con la propria vita, sempre in bilico tra un obbligatorio successo e il rischio del fallimento.

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