Senza filtro. La vita, il basket, Kobe, LeBron e tutto il resto

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«Se pensavi che Kevin Garnett fosse esaltante e senza filtro sul parquet, aspetta di leggere cosa ha da dire in queste pagine. Impareggiabile». THE NEW YORK TIMES

È stato uno dei giocatori più dominanti della storia del basket, difficile pensare a un atleta più determinato, e più vulcanico. Il più amato. Il più odiato. Il più pagato (leggendario il suo contratto da 126 milioni di dollari, che fu il più ricco al mondo di tutti gli sport di squadra). Una cosa è certa, nessun aspetto in Kevin Garnett potrà mai risultare indifferente: ha combattuto in ogni modo possibile, ha esagerato spessissimo, ha saputo spingersi oltre i propri limiti. Il tutto condito da una straordinaria propensione all’accettare qualsiasi tipo di sfida contro chiunque, e di soccombere molto di rado. Lo si potrà ricordare per le statistiche, i molti record, oppure per il trash talking, il suo marchio di fabbrica, la continua parlantina per innervosire, insultare e sfiancare gli avversari, o ancora per i soffi nelle orecchie a Kevin West, per l’eterna rivalità con Tim Duncan (per dirla con Federico Buffa: «Kevin odia tutti; Tim ne odia uno solo: Garnett»), per il tentato morso a Joakim Noah… Ma sarebbe riduttivo anche per uno che ne ha combinata una più del diavolo. Del resto, «in nba non sopravvivi se ti comporti come un bravo ragazzo. Per sopravvivere così tanto tempo in nba devi essere uno stronzo». E se lo dice uno che è sopravvissuto praticamente più di tutti – addirittura 21 stagioni – bisogna credergli per forza. Se Kevin Garnett ha giocato a basket con un’intensità e un’eccentricità senza rivali, anche la sua autobiografia trabocca di queste qualità. Parla di tutto Kevin, con lo stesso crudo candore. Della sua vita. Della sua carriera travolgente che lo ha portato a essere il primo giocatore in due decenni a entrare nel draft direttamente dal liceo, e quindi una stella di primissima grandezza dell’nba, sino al titolo, ai premi come migliore giocatore, a entrare nella Hall of Fame. Sa raccontare Kobe Bryant come pochi altri, con una tenerezza che spacca il cuore, e LeBron James, e Michael Jordan. Ma anche parlare senza censure di razzismo, di spiritualità, di musica. E di molto altro.

Kevin Garnett, “The Revolution”, è nato a Greenville, nella Carolina del Sud, nel 1976. È una superstar totale che ha rivoluzionato il volto della pallacanestro, uno dei pionieri che ha aperto la strada al positionless basketball contemporaneo, un’ala grande di 211 cm dotata di fisico longilineo e tecnica sopraffina, capace di andare a rimbalzo, aprire il contropiede, portare palla, segnare dalla media e medio-lunga distanza e, in difesa, di marcare chiunque, in qualsiasi ruolo. Ha conquistato il titolo nba con i Boston Celtics, l’mvp della regular season e quello dell’All-Star Game. Ha giocato a Chicago, Minnesota, Boston, Brooklyn e di nuovo Minnesota, in NBA per 21 stagioni, risultando convocato nell’All-Star Game per 15 volte. Ha vinto la medaglia d’oro olimpica a Sidney. Dal 2020 è entrato nella Basketball Hall of Fame, tra gli immortali.

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