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Salon Kitty

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All’inizio della seconda guerra mondiale Walter Schellenberg, giovane generale delle SS, ha l’idea di trasformare il “salon” (bordello di lusso) gestito a Berlino da Kitty Schmidt, in una centrale d’ascolto e di sorveglianza, sostituendo le professioniste del sesso con dilettanti scrupolosamente selezionate, di sicura fede nazional-socialista. Da questo fatto vero di cronaca il poliedrico sceneggiatore Ennio De Concini sviluppa una fiction dove nel lupanare nazificato del potere nasce l’amore con l’iniziale maiuscola e si diffondono idee di liberta’ e ribellione. Da questo cocktail di sesso, nazismo, svastica e perversioni erotiche (di moda sullo schermo negli anni ‘70 dopo il successo di Portiere di notte) T. Brass cava un film per uomini soli con un apporto figurativo di prim’ordine dove bisogna continuamente levarsi il cappello per salutare il passaggio di Visconti, Bertolucci, Cavani, Chaplin, Barbarella, l’Histoire d’O, Arancia meccanica, Cabaret, persino Freaks e la commedia all’italiana. Bocciato dalla censura amministrativa, ottenne il visto di circolazione dopo aver subito 16 tagli concordati tra i censori e il produttore Giulio Sbragia. Inutilmente Brass cerco’ per vie legali di far togliere il suo nome dai titoli.

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